La MET e il Centro Rossi-Doria hanno realizzato uno studio, basato su informazioni microeconomiche, sulla competitività delle imprese italiane. Il rapporto “Study on firm-level drivers of export performance and external competitiveness in Italy” è stato sviluppato nell’ambito di un progetto di ricerca bandito dalla Commissione Europea, DG Economic and Financial Affairs (DG ECFIN).
L’obiettivo del lavoro, che si è basato sui micro-dati del Rapporto sulla competitività ISTAT dell’Indagine campionaria MET, è stato quello di fornire indicazioni utili per la ridefinizione delle raccomandazioni di policy che la Commissione Europea sottoporrà al Governo italiano.
Lo studio è stato redatto da un gruppo di lavoro composto da:
Gruppo di ricerca del Centro Rossi-Doria: Anna Giunta (Università Roma Tre) e Lelio Iapadre (Università dell’Aquila); Mario Pianta (Università of Urbino “Carlo Bo”); Stefano Usai (University of Cagliari); Antonello Zanfei (University of Urbino “Carlo Bo”).
Altri ricercatori: Emanuele Brancati (LUISS Guido Carli); Raffaele Brancati (MET); Dario Guarascio (INAPP), Andrea Maresca (MET); Manuel Romagnoli (MET).
L’analisi è stata fondata su un approccio di ampio respiro che prendesse in considerazione diverse dimensioni di competitività internazionale – probabilità di internazionalizzazione, quote di mercato e performance – e un vasto spettro di potenziali driver: da componenti strutturali (produttività, dimensione, età, grado di capitalizzazione, integrazione verticale e costo del lavoro) a questioni finanziarie (leva finanziaria, crediti commerciali, accesso al credito bancario e profittabilità), oltre ai comportamenti strategici delle imprese (introduzione di innovazioni, attività di R&S, capitale umano, investimenti e appartenenza a network di imprese). L’elemento fondamentale, poi, è stato quello di sottoporre a test, relativamente ai possibili effetti, le differenze esistenti tra le imprese per alcune grandezze rilevanti riferite ai driver della competitività. Si è trattato, in sostanza, di provare a considerare nelle stime gli effetti delle eterogeneità dei comportamenti valutando separatamente, per esempio, i cambiamenti di stato da semplici innovatori a innovatori con ricerca o, più in generale, percorsi di upgrading.
L’elemento fondamentale, poi, è stato quello di sottoporre a test, relativamente ai possibili effetti, le differenze esistenti tra le imprese per alcune grandezze rilevanti riferite ai driver della competitività. Si è trattato, in sostanza, di provare a considerare nelle stime gli effetti delle eterogeneità dei comportamenti valutando separatamente, per esempio, i cambiamenti di stato da semplici innovatori a innovatori con ricerca o, più in generale, i percorsi di upgrading.
A livello empirico sono state impiegate molteplici tecniche econometriche per risolvere problemi di endogeneità, indotti da meccanismi di autoselezione (delle imprese più produttive e dinamiche nei mercati internazionali), o da possibili fenomeni di causalità inversa (reverse causality). I problemi di circolarità tra variabili sono stati ridotti al minimo attraverso l’uso di appropriati lag temporali per le variabili indipendenti. Inoltre, le analisi sono state depurate da fattori invarianti a livello di impresa (osservabili e non).
Le analisi hanno evidenziato come i fattori strutturali (dimensione d’impresa, settore economico, fattori di contesto, etc.) giochino un ruolo rilevante per la competitività, tuttavia l’elemento discriminante è rappresentato dal profilo strategico delle singole imprese, vale a dire dalla loro propensione ‘proattiva’ verso l’innovazione e la capacità di accrescere le proprie competenze tecnologiche. In questi termini le evidenze mostrano un cambiamento positivo del tessuto produttivo italiano, con una maggiore consapevolezza e diffusione dei driver della competitività.
Dal punto di vista delle policy, occorre sostenere e accelerare tale propensione innovativa per migliorare la competitività aggregata del nostro sistema produttivo.
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